lunedì 27 gennaio 2014

La fuga degli Spinola



Un ragazzino stava fuggendo da Camogli insieme alla sua famiglia in cerca di un rifugio per fuggire dai Saraceni verso le montagne dell’Appennino Ligure che si stagliavano sopra il paese; questi avevano saccheggiato e bruciato la cittadina uccidendo la maggior parte della popolazione.

 La piccola famiglia era costituita da quattro membri. Il figlio più piccolo si chiamava Lamba, era forte e coraggioso, aveva occhi azzurri e capelli biondi come il sole;  il figlio maggiore si chiamava Rodolfo, era magro timido e un po’ donnaiolo, ma davvero un ragazzo d’oro. I genitori erano delle persone molto indaffarate, ma trovavano sempre un po’ di tempo da dedicare ai figli: il padre aveva trentadue anni mentre la madre trenta; vivevano in una casetta affacciata sul mare e si nutrivano prevalentemente dei pesci che pescava il padre e dei prodotti dell’orto che coltivava la madre. Un'altra parte consistente dei prodotti venivano acquistati al loro mercato: IL MERCATO DEGLI SPINOLA.

In seguito agli attacchi frequenti dei Saraceni ai villaggi costieri la tranquillità dei borghi era stata sconvolta drammaticamente. Il popolo, alla vista delle navi saracene che si avvicinavano all’orizzonte, aveva tentato di rifugiarsi nel castello Dragone per organizzare la resistenza, ma, una volta sbarcati, i Saraceni si dimostrarono immediatamente più forti per numero e per armi.

La prima notte fu tremenda, faceva molto freddo e i viveri erano pochi. La mattina seguente, dopo lunghe ore di cammino, la povera e infreddolita famiglia giunse ad un’abbazia dove furono accolti calorosamente da due anziane suore, le quali offrirono loro una zuppa calda di legumi e una pagnotta; diedero ai poveri Spinola una cura a base di aloe (pianta che proveniva dalle terre saracene) per medicare le ferite apertesi durante la notte passata sotto la pioggia a cercare riparo. Infine le pie religiose donarono delle biglie a Lamba e Rodolfo per svagarsi.

Nell’edificio religioso regnava la pace e il silenzio dovute alle ore di preghiera. Lungo il corridoio che li conduceva alle celle, videro molte suore che camminavano pregando con rosari e libri di devozione. Varcata la soglia della loro accogliente celletta, i genitori, stremati dal lungo viaggio, si accasciarono su un baldacchino posto al centro della stanzetta, mentre i figli si sdraiarono su due comodi letti posti ai lati della letto; il soffitto era affrescato con degli angeli in volo e rappresentava Gesù sulla Croce.

Il giorno seguente, dopo una notte di riposo, una delle suore più anziane bussò alla porta della celletta portando una terribile notizia: la peste stava flagellando i paesi intorno all’abbazia e presto, a meno di un miracolo, sarebbe giunta anche all’abbazia. Appresa la notizia, la famigliola dovette raccogliere le poche cose che era riuscita a salvare e in breve tempo cercare scampo avventurandosi nella zona più inesplorata e selvaggia della foresta per cercare di salvarsi dalla terribile malattia. La foresta era immensa, un gran numero di cerbiatti e caprioli viveva nelle radure, ma, purtroppo, era anche popolata da belve feroci, quali lupi, orsi, e cinghiali.

La mattina seguente il padre si svegliò e si trovò solo. Provò a chiedere aiuto, ma era troppo debole per andare a cercare il resto della famiglia sparita nell’intrico dei rami e dei rovi della foresta e sprofondò prima in uno strano dormiveglia e, quindi, si addormentò.

Sui monti dell’Appennino era nuovamente calata nuovamente la notte. Simone era ancora lì, si svegliò in preda al panico, riprovò a chiamare la sua famiglia, ma in quel momento si rese conto di non essere solo, sentì il rumore dell’acqua, si girò e vide un pescatore intento a pescare delle trote per nutrirsi. Fece un cenno come segno di aiuto, il pescatore notò dei movimenti nella fitta foresta, incuriosito andò a scoprire cosa stava succedendo e trovò Simone sdraiato dolorante e lo portò con sé. Arrivati sulla barca il pescatore, di nome Alberto, gli diede dell’acqua e avvolse le ferite con degli stracci che usava per coprire il pesce. Il viaggio fu molto doloroso per Simone, ma, arrivati nell’abitazione, la famiglia lo medicò e gli diede una zuppa di pesce.

La mattina seguente si svegliò e trovò la sua famiglia accanto a lui. Vedendoli, capì di non aver perso nulla e, al pensiero, si rallegrò. Si abbracciarono e trascorsero la giornata a raccontare l’avventura passata.




Quando la famiglia si riprese, inseguirono il proprio sogno di intrattenere le persone con spettacoli teatrali. Iniziarono ad avere successo nella piccola comunità, guadagnando soldi per comprarsi una piccola casa e mandare avanti la famiglia.

Un freddo giorno di inverno un uomo bussò alla porta e consegnò una lettera contenente soldi. Non ricevevano lettere da molto tempo e furono molto contenti di aprirla: “Cari familiari, sappiamo della vostra situazione economica, sappiamo della vostra grande fama nel mondo del teatro e vogliamo aiutarvi ad avverare il vostro sogno di aprire un teatro gratuito che faccia divertire anche le persone bisognose ”.

La famiglia fu molto felice della lettera e rispose con felicità, ma subito dopo iniziò a pianificare il proprio progetto. Poco tempo dopo furono pronti a comunicarlo a tutta la comunità attraverso rudimentali manifesti. La città fu grata alla famiglia organizzatrice, che da niente erano arrivati a dare tutto quello che possedevano. Gli Spinola, per realizzare il loro progetto, dovettero cedere ai venditori del teatro denaro ,oggetti di valore… e molte altre cose a cui tenevano, ma non quanto il proprio sogno.

Pochi mesi dopo la famiglia aprì il teatro al pubblico. Il loro teatro era piccolo, ma il palcoscenico era molto spazioso, il soffitto era ricco di affreschi raffiguranti immagini scenografiche che rappresentavano la storia della recitazione. Molte persone vennero all’inaugurazione e si divertirono, la comunità iniziò ad usare il teatro come meta di tutti i giorni. I teatranti strinsero amicizia con persone del popolo e i ricchi poterono aiutare loro  a iniziare, a lavorare e guadagnare soldi per vivere.

In città gli Spinola furono molto importanti e tutti ammirarono loro per tutto quello che avevano fatto per la comunità. Essi diventarono sempre più conosciuti e persone fuori da Camogli iniziarono a venire ai loro spettacoli, iniziarono a costruire teatri in loro onore e chiedere loro se potevano andarci una volta; ovviamente la famiglia accettava sempre e il teatro in città iniziò a non essere più usato perché gli Spinola erano sempre fuori città. I genitori, ormai troppo anziani,  decisero di restare in città e recitare i propri spettacoli nel teatro e i figli presero il posto dei genitori e girarono per le città d’Italia recitando. Anche i ragazzi iniziarono a seguire gli spettacoli e iniziarono ad interessarsi al teatro, allora Rodolfo e Lamba decisero di insegnare a recitare. Lamba e Rodolfo si divertirono a insegnare, ma un giorno venne loro consegnata una lettera con scritto di tornare in città per la festa più importante dell’anno. Allora dovettero tornare a casa e, subito dopo lo spettacolo, i genitori si ammalarono e morirono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.

Trascorsero gli anni, ma loro continuarono a sostenere il teatro perché quello era stato il sogno e il progetto dei loro genitori e non volevano deluderli. Ormai Lambo e Rodolfo erano diventati anziani e lasciarono il posto ai loro figli e a tutti i ragazzi che li avevano aiutati nel passato. Dopo alcuni anni gli eredi iniziarono a sottovalutare il teatro, a non tenerlo bene e a non rispettare le regole imposte dai loro nonni.
Allora Lamba e Rodolfo si arrabbiarono, tolsero ai figli  il teatro e lo tennero loro, recitando nonostante la loro età. Questo era proprio quello che avevano fatto i loro genitori, avevano dato tutto quello che avevano per il teatro perché era il loro sogno. Dopo la loro morte i loro figli avevano impararono la lezione e continuarono a tramandare da padre in figlio la propria passione di recitare fino a fondare un teatro tutto loro.
Claudy, Ely, Emi ed Hele (2^D)

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