venerdì 23 maggio 2014

Giallo alla Villa del Varignano Vecchio



Era una fresca sera d’estate. La brezza faceva danzare le foglie d’ulivo sulla collina.

Era la terza ora dopo il vespro e , in seguito a una lunga giornata nei campi, finalmente ci potevamo godere la notte. Le mie palpebre erano pesanti e non vedevo l’ora che si chiudessero.

Improvvisamente sentii dei passi avvicinarsi alla camera. Il cuore mi batteva forte. Senza pensarci, mi alzai e, dopo aver messo a posto il letto per far sembrare che non ci fosse stato nessuno, mi ci nascosi sotto.

Un individuo aprì la porta. Dal mio nascondiglio non riuscivo a scorgergli il volto, ma notai che le sue gambe erano bagnate fradicie; a giudicar dalle numerose gocce che cadevano a terra, doveva esserlo anche la restante parte del corpo.

“Lucio? Ci sei?”. Riconobbi quella voce e mi tranquillizzai. Uscii da sotto il letto.

Era Flavio, grondante acqua dalla testa ai piedi e con un braccio sanguinante,

“Si può sapere dove sei stato?” domandai seccato.

“Mi stavo riposando sotto ad un ulivo, non ce la facevo più a zappare”.

Nella villa e nel fondo ognuno aveva le proprie responsabilità e Flavio non era certo affidabile.

“Cosa credi? Anch’io mi spacco la schiena nei campi!”.

Non rispose e si mise a dormire, infradiciando il letto.

“A proposito: perché sei bagnato?”. Ormai russava.

Il giorno dopo fu straziante: il sole batteva forte e si era disposti a fare a pugni per un po’ d’ombra. Quando non c’erano guardie nei paraggi, ogni contadino correva verso l’ulivo più vicino per ripararsi.

Stavo riposando quando mi sentii spinto e caddi nelle morbide zolle di terra. Ero pronto a scommettere che una guardia mi avesse scoperto, ma, quando mi voltai, vidi Marzio che, con il suo solito ghigno, si stendeva all’ombra. Quel tipo è pericoloso. Non stetti neanche a discutere. Stavo per ricominciare a lavorare quando vidi le guardie farci cenno di recarci al loro cospetto.

“Ieri è avvenuto un furto! E’ stato rubato un bene di Marcus, il dominus della villa. Fidatevi, non ci metteremo molto a trovare il colpevole!”

Studiarono i nostri sguardi uno a uno. Povero Flavio: anche se non era il colpevole, mostrava paura come un bambino. Quando constatarono che nessuno voleva ammettere, se ne andarono impartendoci l’ordine di proseguire il nostro lavoro. Mi domandai quale potesse essere l’avere di cui parlava la guardia. Voci tra i contadini dicevano che quella sera ci sarebbe stato un banchetto qui alla Villa del Varignano e che io ero stato scelto per portare le pietanze a tavola.

Infatti, a mezzodì, una guardia venne a recarmi questa notizia. Ciò è strano. Non succede mai che un contadino viene nominato cameriere.

Giunta sera, mi presentai a Marcus. Era vestito con un abito rosso porpora, ma non era quello solito, quello più sfarzoso. Lo sentii bisbigliare al vilicus, il suo fattore: “Se il contadino desta sospetti, interrogatelo e rinchiudetelo”. Quella sera era ben vestito  e profumato.

Gli ospiti erano già stesi sui loro triclini ed erano accompagnati da una musica di cetra. Dovevano essere ospiti importanti. Io reggevo un vassoio con sopra pesce e garum. La tentazione di assaggiarlo era forte, ma resistetti.

Un ospite bevve un sorso d’acqua e fece una smorfia.

“Oh! L’acqua non è di suo gusto?” chiese prontamente un servitore.

“In effetti ha un sapore sgradevole”.

Arrivo Marcus: “Buona serata, miei cari amici! Scusate se vi ricevo con questo abito, ma il mio migliore mi è stato rubato”.

Le guardie mi fissarono, ma, ancora prima che potessi aprire bocca, vidi Marcus che mi puntava con un dito. Senza esitare, buttai il vassoio e cominciai a correre. Ovviamente fui inseguito, credevano fossi stato io a rubare l’abito; ma non capivo cosa avesse di così importante. Uscii dalla villa. Nel buio persero le mie tracce; ero sui rami di un ulivo ai piedi della collina.

Quando si arresero, tornarono indietro. Avevo molto sonno, ma non potevo andare nella mia cubicula. Mi appoggiai a qualcosa di appiccicoso: era sangue non del tutto seccato. Non mi feci domande su perché ci fosse: stavo per cadere nel sonno. In un incavo del tronco dell’ulivo vidi un luccichio. Ci infilai la mano e tirai fuori un velo di seta ornato con oro e perle. Valeva sicuramente una fortuna.

Vidi le guardie dirigersi verso di me. Rimisi il vestito nel tronco e scappai. Mi diressi verso la cisterna. Ero sicuro che il colpevole fosse Marzio, per questo voleva incastrarmi. Capii cosa dovevo fare: “Fermi! So chi è il ladro, vi assicuro che non sono il colpevole!”

Non mi uccisero, mi bloccarono con delle corde, ma mi diedero ascolto.

Il mio piano era aspettare che il ladro si avvicinasse di nascosto all’ulivo. Dopo poco vidi una figura armeggiare intorno all’albero. Fu in quel momento che vidi Marzio spuntare da dietro una siepe e attaccare il ladro.

Lo riconobbi: era Flavio.

Tutto combaciava. Dopo aver preso il vestito, scappò dalle guardie e si ferì al braccio lasciando tracce di sangue sull’ulivo dove aveva nascosto la refurtiva. Poi, nella fretta, cadde nella cisterna dove perse dell’altro sangue conferendo all’acqua un cattico sapore. Tornò nella cubicula dove lo vidi conciato così. Marzio probabilmente sospettava fossi io il ladro e voleva impossessarsi dell’abito.

Le guardie non ebbero pietà: scoccarono le frecce facendolo cadere a terra.


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