Era una fresca sera d’estate. La brezza faceva danzare le foglie d’ulivo sulla collina.
Era la terza ora dopo
il vespro e , in seguito a una lunga giornata nei campi, finalmente ci potevamo
godere la notte. Le mie palpebre erano pesanti e non vedevo l’ora che si
chiudessero.
Improvvisamente sentii
dei passi avvicinarsi alla camera. Il cuore mi batteva forte. Senza pensarci,
mi alzai e, dopo aver messo a posto il letto per far sembrare che non ci fosse
stato nessuno, mi ci nascosi sotto.
Un individuo aprì la
porta. Dal mio nascondiglio non riuscivo a scorgergli il volto, ma notai che le
sue gambe erano bagnate fradicie; a giudicar dalle numerose gocce che cadevano
a terra, doveva esserlo anche la restante parte del corpo.
“Lucio? Ci sei?”.
Riconobbi quella voce e mi tranquillizzai. Uscii da sotto il letto.
Era Flavio, grondante
acqua dalla testa ai piedi e con un braccio sanguinante,
“Si può sapere dove sei
stato?” domandai seccato.
“Mi stavo riposando sotto
ad un ulivo, non ce la facevo più a zappare”.
Nella villa e nel fondo
ognuno aveva le proprie responsabilità e Flavio non era certo affidabile.
“Cosa credi? Anch’io mi
spacco la schiena nei campi!”.
Non rispose e si mise a
dormire, infradiciando il letto.
“A proposito: perché
sei bagnato?”. Ormai russava.
Il giorno dopo fu
straziante: il sole batteva forte e si era disposti a fare a pugni per un po’
d’ombra. Quando non c’erano guardie nei paraggi, ogni contadino correva verso
l’ulivo più vicino per ripararsi.
Stavo riposando quando
mi sentii spinto e caddi nelle morbide zolle di terra. Ero pronto a scommettere
che una guardia mi avesse scoperto, ma, quando mi voltai, vidi Marzio che, con
il suo solito ghigno, si stendeva all’ombra. Quel tipo è pericoloso. Non stetti
neanche a discutere. Stavo per ricominciare a lavorare quando vidi le guardie
farci cenno di recarci al loro cospetto.
“Ieri è avvenuto un
furto! E’ stato rubato un bene di Marcus, il dominus della villa. Fidatevi, non
ci metteremo molto a trovare il colpevole!”
Studiarono i nostri
sguardi uno a uno. Povero Flavio: anche se non era il colpevole, mostrava paura
come un bambino. Quando constatarono che nessuno voleva ammettere, se ne
andarono impartendoci l’ordine di proseguire il nostro lavoro. Mi domandai
quale potesse essere l’avere di cui parlava la guardia. Voci tra i contadini
dicevano che quella sera ci sarebbe stato un banchetto qui alla Villa del
Varignano e che io ero stato scelto per portare le pietanze a tavola.
Infatti, a mezzodì, una
guardia venne a recarmi questa notizia. Ciò è strano. Non succede mai che un
contadino viene nominato cameriere.
Giunta sera, mi
presentai a Marcus. Era vestito con un abito rosso porpora, ma non era quello
solito, quello più sfarzoso. Lo sentii bisbigliare al vilicus, il suo fattore:
“Se il contadino desta sospetti, interrogatelo e rinchiudetelo”. Quella sera
era ben vestito e profumato.
Gli ospiti erano già
stesi sui loro triclini ed erano accompagnati da una musica di cetra. Dovevano
essere ospiti importanti. Io reggevo un vassoio con sopra pesce e garum. La
tentazione di assaggiarlo era forte, ma resistetti.
Un ospite bevve un
sorso d’acqua e fece una smorfia.
“Oh! L’acqua non è di
suo gusto?” chiese prontamente un servitore.
“In effetti ha un
sapore sgradevole”.
Arrivo Marcus: “Buona
serata, miei cari amici! Scusate se vi ricevo con questo abito, ma il mio
migliore mi è stato rubato”.
Le guardie mi
fissarono, ma, ancora prima che potessi aprire bocca, vidi Marcus che mi
puntava con un dito. Senza esitare, buttai il vassoio e cominciai a correre.
Ovviamente fui inseguito, credevano fossi stato io a rubare l’abito; ma non
capivo cosa avesse di così importante. Uscii dalla villa. Nel buio persero le
mie tracce; ero sui rami di un ulivo ai piedi della collina.
Quando si arresero,
tornarono indietro. Avevo molto sonno, ma non potevo andare nella mia cubicula.
Mi appoggiai a qualcosa di appiccicoso: era sangue non del tutto seccato. Non
mi feci domande su perché ci fosse: stavo per cadere nel sonno. In un incavo
del tronco dell’ulivo vidi un luccichio. Ci infilai la mano e tirai fuori un
velo di seta ornato con oro e perle. Valeva sicuramente una fortuna.
Vidi le guardie
dirigersi verso di me. Rimisi il vestito nel tronco e scappai. Mi diressi verso
la cisterna. Ero sicuro che il colpevole fosse Marzio, per questo voleva
incastrarmi. Capii cosa dovevo fare: “Fermi! So chi è il ladro, vi assicuro che
non sono il colpevole!”
Non mi uccisero, mi
bloccarono con delle corde, ma mi diedero ascolto.
Il mio piano era
aspettare che il ladro si avvicinasse di nascosto all’ulivo. Dopo poco vidi una
figura armeggiare intorno all’albero. Fu in quel momento che vidi Marzio
spuntare da dietro una siepe e attaccare il ladro.
Lo riconobbi: era
Flavio.
Tutto combaciava. Dopo
aver preso il vestito, scappò dalle guardie e si ferì al braccio lasciando
tracce di sangue sull’ulivo dove aveva nascosto la refurtiva. Poi, nella
fretta, cadde nella cisterna dove perse dell’altro sangue conferendo all’acqua
un cattico sapore. Tornò nella cubicula dove lo vidi conciato così. Marzio
probabilmente sospettava fossi io il ladro e voleva impossessarsi dell’abito.
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