venerdì 23 maggio 2014

Martino e la voce sospetta

Racconto che ha partecipato al concorso 'Raccontare il Medioevo' a cura dell'Istituto Storico Italiano per il Medioevo.



“Aiuto, aiuto!! Suor Isabella, è successo di nuovo!”





Due settimane prima, Anno Domini 1347, tarda primavera, al principiar dell’estate, nel caldo e umido ospitale di Santa Croce, situato nel punto più alto e roccioso di Pieve Ligure,  borgo della contea di Bogliasco, paese  cinto da mura e da fossati che venivano allagati in caso di assedio.

La casa di Martino era una delle classiche dimore del Medioevo. Egli era un bambino povero, perciò abitava in una residenza abbandonata e fatiscente che si trovava alla fine di una via dimenticata da molti. L'abitazione era composta da due locali divisi da un muro eroso dal tempo.

Nella stanza c'era un letto misero e sporco, costituito da una sottile e sciupata coperta di lana bianca sgualcita e da un  materasso rotto, anche questo del medesimo color panna, ingiallito dal tempo, con la struttura quasi frantumata che poggiava su uno scricchiolante pavimento in legno. In un angolo del vano si trovava una finestra dagli inserti di legno scuro e una maniglia antica rimasta intatta.

Martino trascorreva  notti agitate e insonni, in compagnia di sogni bruschi e violenti nei quali ricordava il padre morto in guerra; aveva immagini sfocate di lui nelle quali distingueva solamente il suo vestiario: sotto la casacca color scarlatto c'erano delle lunghe calze che mettevano in evidenza le parti virili del corpo.

In quel periodo era diffusa la peste nera malattia che in alcuni casi estremi portava alla morte. I sintomi di  questa erano: barcollamento, muco schiumoso, sangue dal naso, lividi, respirazione difficoltosa, tremore, occhi infiammati, inappetenza, vomito, diarrea emorragica, catarro, convulsioni e sete intensa.

Un giorno Martino andò verso il mercatino dei ricchi, sui banchi del quale erano esposti dolci. Si trovava nei paraggi perché aveva esaurito le poche monete che possedeva e che aveva guadagnato recitando antiche poesie; per questo cercava di rubare qualche pagnotta prelibata.

Mentre tornava a casa, ebbe un forte barcollamento e intravide nel buio una sagoma che immediatamente scappò via. Non riuscì a capire cosa rappresentasse quella forma confusa, ma, nonostante ciò, continuò il cammino verso la sua dimora.

Appena solcò la porta d'entrata,  dal suo naso iniziò a scendere una grande quantità di sangue. Dallo spavento svenne.

La mattina dopo si accorse di alcuni lividi sul proprio corpo, a quel punto iniziò a preoccuparsi seriamente.

Quello che non si sapeva ancora spiegare, però, è che non si trovava nella sua abitazione, bensì in un luogo ricco di erbe medicinali necessarie a curare i malati.

Due suore si accorsero che Martino era sveglio e si precipitarono per capire come stava. Egli esitò un istante prima di parlare, ma dovette per forza chiedere un bicchier d'acqua a causa la sete irresistibile.

Le suore, di nome Isabella e Clara, lo posero immediatamente sul comodino che affiancava il letto. Martino ringraziò annuendo perché oramai aveva perso la sua voce a causa della gola secca. Quando  deglutì l'acqua fresca, ebbe il coraggio di parlare sussurrando debolmente: "Dove mi trovo?"  

Suor Clara, accarezzando la fronte del bambino indifeso, rispose: "Tranquillo, qui ci prenderemo cura di te".

Il bambino, non ancora del tutto consapevole, poggiò la testa sul cuscino.

I giorni passarono, lui si sentiva sempre meglio, strinse amicizia con una bambina che aveva il suo stesso problema, che disse di chiamarsi Maria.

Con lei passava la maggior parte del suo tempo, giocavano a giândolin, un trottolino che si faceva girare con una sottile funicella.

Ogni dì Martino riceveva la sua dose di erbe curative che contribuivano alla sua guarigione.

Ormai era la terza ora dopo il vespro ed egli era insonne, l' unica cosa che si sentiva erano i passi leggeri delle suore che, essendo affaticate dalla frustrante giornata svolta, andavano a riposare.

Il bambino diede un ultimo sguardo allo spiraglio di luce che giungeva nella sua camera. Ad un tratto tutto si spense.

Non appena fece un tentativo di chiudere gli occhi, una voce a lui sospetta proferì: "Martino io non ti svelerò la mia identità, ma solo il motivo del  perché sto comunicando con te. Vedi, devi sapere che questo è il luogo nel quale sono venuto a mancare a causa di una persona di questo ospitale di cui non ti dirò il nome".

Martino, anche se spaventato, ignorò la voce e crollò in un sonno profondo.

Il giorno seguente si scaraventò giù dal letto con un balzo e si avvicinò alla sua compagna per svegliarla e per annunciarle  l’accaduto. 

Maria era molto bella, aveva un viso candido e bianco come la neve, i suoi occhi erano azzurri e le  lunghe ciglia rendevano il suo volto dolce e buono; i suoi capelli biondi come il grano erano quasi sempre raccolti in una treccia che lei disfaceva e rimodellava accuratamente ogni giorno. Era magra e alta quasi quanto Martino.

Le diede un colpo sulla spalla e lei si svegliò urlando dallo spavento.

Martino tranquillizzò Maria e poi le sussurrò: “Ti andrebbe di fare la colazione?”  

Lei emise un semplice "sì".  Si alzarono per prendere il corridoio che portava alla cucina; quando all’improvviso comparve davanti a loro suor Clara che urlò: “Dove pensate di andare?!”

“A fare colazione” risposero i due bambini.

“No! Andate a riposare, ve la porterò io” concluse sbrigativamente il discorso e si incamminò frettolosamente verso  la sala. I due bambini si diressero verso la camera ridendo della goffa e strana andatura della suora.

La mattina passò velocemente  e il pomeriggio era alle porte, era la nona ora quando suor Isabella andò a chiamare Martino e Maria.

Si radunarono nel cortile circostante all’ospitale. C’erano numerose persone in festa, si respirava un'autentica aria d'allegria; Martino e Maria erano entusiasti all’idea di passare tutto il pomeriggio in quel luogo.

Per tutto il giorno mangiarono e giocarono a giochi divertenti e  la sera si avvicinò velocemente.

Mentre Martino percorreva la strada che conduceva all’entrata,  intravide nuovamente la medesima ombra che aveva notato il giorno prima della sua entrata nell’ospitale.

Quella notte Martino era molto agitato e non riusciva a togliersi dalla  testa una canzoncina che ricordava vagamente, pensava fosse quella che gli cantava sua mamma quando era piccolo…ma non era sicuro…

Beuga bugagna,

Martin o l’è andaeto in Spagna

A carregà di foenti

Fra piccìn e grendi

I grendi da maià

E i piccìn da demmoà!”

Martino era esausto, non riusciva a svegliarsi.

All’alba  egli andò correndo,  molto sudato, nella camera di suor Clara urlando a squarciagola ciò che la sera aveva udito e temuto. La monaca, preoccupata, gli toccò la fronte calda e sudata; lo prese di corsa in braccio e lo portò fino al letto dove lo coprì con un  telo molto sottile di colore bianco e lo rinfrescò con bende bagnate.

Martino continuò nel suo racconto di ciò che aveva sentito, ma suor Clara non ne voleva sapere e lo zittiva.

Martino stava riposando in una camera contigua a quella   dove risiedeva un malato di peste. Quando suor Clara si voltò per afferrare un altro panno bagnato per il bambino,  fece in tempo a vedere il paziente squarciato nell’addome.

Sul soffitto una filastrocca scritta con il sangue…

Beuga bugagna,

Martin o l’è andaeto in Spagna

A carregà di foenti

Fra piccìn e grendi

I grendi da maià

E i piccìn da demmoà!”

Impossibile, pensò suor Clara, il piccolo Martino aveva ragione, non erano allucinazioni; nell’ospitale era presente qualcosa di sovrannaturale.

Clara, senza pensarci due volte, si mise a correre nel corridoio per avvisare suor Isabella e, in preda al panico, iniziò ad urlare.

Martino si alzò di soprassalto. Era confuso e si accorse che la scritta sul muro era la stessa canzoncina che la notte aveva in testa; subito gli venne in mente la sua cara amica Maria  e si precipitò verso la sua stanza, ma lei era scomparsa.

Martino non avrebbe mai accettato la morte o il rapimento della sua amica, così si non perse d’animo e iniziò  a pensare ai vari posti dove poteva essersi rifugiata.  Il primo luogo che gli venne in mente fu il ripostiglio dove per la prima volta erano andati a giocare insieme; subito vi si precipitò e, fortunatamente, la ritrovò  accovacciata che piangeva disperatamente.

Martino rimase a guardare la scena per un istante con occhi di commozione, poi si precipitò a stringerla in un caloroso e tenero abbraccio .

Maria all’inizio si ribellò, ma poi cedette e gli donò un piccolo bacio sulla morbida guancia.

Martino divenne leggermente rosso dalla vergogna e  Maria scappò via.

Nel frattempo suor Clara e suor Isabella, mentre piangevano, trasportavano  i cadaveri fuori dall’edificio. Nel pomeriggio iniziarono le indagini e interrogarono Martino.

Egli cercò di spiegare alle suore la sagoma che intravedeva e le voci notturne minacciose che udiva.

Quella sera rimase da solo in camera mentre le suore ripulivano il muro dalle macchie di sangue e Maria già dormiva  accanto alla sua piccola  bügatta, una bambola di pezza.

Martino stava per addormentarsi, ma ad un certo punto la  finestra si spalancò facendo svolazzare le leggere tende gialle.

Si voltò per andare a letto e sentì quella voce che sussurrò:

“MARTINO, SONO SULLE SCALE…MARTINO, SONO SOTTO IL LETTO…. CONTA CON ME SINO A CINQUE E SENTIRAI UN URLO TREMENDO. QUALCUNO, AHIME’, MORIRA'…”

All’inizio Martino pensò che la persona indicata fosse Maria e, quindi, si infilò nel suo letto e la strinse forte al petto.

Poi la voce riprese a parlare: “1…2…3..4.5”

Martino udì un urlo potentissimo seguito da un sussulto, non era Maria, allora di chi si trattava?

La voce si interruppe con una grande risata maligna.

Il bambino, spaventatissimo, percorse il corridoio per andare ad avvisare le due suore, spalancò la porta e trovò suor Isabella piangere sul cadavere della sua cara consorella.  Martino sussurrò con un filo di voce ormai quasi esaurito dallo spavento e dai singhiozzi: “ F-f-orse è c-colpa mia io sapevo, io sentivo  quella voce che mi diceva …che qualcuno sarebbe morto…” Non ebbe il coraggio di andare avanti e scoppiò nuovamente in un pianto doloroso.

Il giorno seguente Maria si svegliò, ma non vide al suo fianco il suo amico; pensava fosse stato ucciso dall’assassino che si aggirava nell’ospitale, però fece ugualmente il tentativo di andare a cercarlo.

Nel ritrovarlo, conobbe pure l’amara verità; ella chiese conferma a Martino di ciò che in cuor suo immaginava e lui rispose con un cenno sconsolato: “Sì”

Maria era sbigottita, non ci poteva credere e il tutto si concluse con un abbraccio dei due per consolarsi l’un l’altro.

I giorni e le notti passavano velocemente anche se tutti sentivano la mancanza di suor Clara. Suor Isabella passava le sue giornate ad esaminare la filastrocca che l’assassino aveva scritto sul muro.

Fino  a che,  una mattina, ella svegliandosi di soprassalto, si diresse come una furia verso la camera di Martino e gli riferì che la notte precedente aveva sognato un uomo che ai suoi occhi pareva brutto, selvaggio, ignobile, bugiardo e ladro di povere anime; ricordava che nel sogno egli era venuto per uccidere e minacciare  persone indifese e che ad un tratto le era parso di vedere la traduzione in volgare italiano dell’orribile scritta sul muro:

“Beuga  bugagna, Martino è andato in Spagna a caricar fanciulli fra piccini e grandi, i grandi da maritare e i piccini da far giocare…”

Dopo ciò, suor Isabella assunse un’aria poco felice e molto preoccupata…: “ Martino, non posso più tenerti qui, se le minacce e la scritta sono veramente riferite a te, come crediamo, tu devi andare via, il più lontano possibile. Non posso permettere che il mio ospitale e la vita delle persone qui ricoverate siano messi a repentaglio… non vorrei cacciarti, ma è ciò che devo fare.Se tu rimani qui, molti dei pazienti  morirebbero e l’ospitale perderebbe importanza. Quando tu arrivasti qui, avevi nove anni, di tempo ne è passato, guardati, hai già sedici anni e ti abbiamo guarito insieme a Maria, che dovrà rimanere qui ancora un po’ per sicurezza. Sono sicura che te la caverai perfettamente anche da solo”. Dalla guancia della suora scivolò una lacrima.

Martino era perplesso, ma, nonostante ciò, fece continuare la suora che continuò a spiegargli le stesse cose ancora per un po’, poi si alzò e con passo deciso si incamminò verso la finestra e osservò il paese da lontano: “Dovrò uscire là fuori da solo…Cosa farei senza il vostro aiuto? Se morissi?! E poi Maria…”  scoppiò in lacrime che lo lasciarono senza parole per tutto il giorno.

Maria non capiva perché non volesse giocare o parlare con lei e ogni volta che cercava di avvicinarsi per  parlargli il coraggio scompariva e la timidezza si faceva avanti sconfiggendola.

Martino non chiuse occhio per tutta la notte successiva e alla fine decise che sarebbe stato  meglio lasciare l’ospitale; andò in punta di piedi  verso l’armadio e raccolse i suoi abiti che mise nella propria sacca; prima di uscire, però, non dimenticò di dare un leggero bacio sulla fronte di Maria.

Uscì dalla camera e, di seguito, si incamminò verso il paese, raggiunse la casa abbandonata  e si sistemò assonnato nel suo ormai infreddolito letto.

Per qualche anno Martino continuò a condurre una vita di lavoro e fatiche, fino a che un giorno camminando per le vie del paese intravide quello che gli pareva fosse il viso candido della dolce Maria… avrebbe voluto correrle incontro e abbracciarla forte, ma erano passati così tanti anni.. chissà se si ricordava di lui o se l’avesse mai perdonato per averla abbondata con un solo bacio sulla fronte mentre dormiva.

Era proprio una donna bellissima, con quei suoi occhi celesti e la sua pelle rosea, i lunghi capelli  che le ricadevano sul petto come nastri di seta; aveva un bellissimo vestito azzurro lungo fino ai piedi, i suoi passi erano leggeri ed il suo sorriso divino.

Il giorno seguente rimase appostato nel medesimo punto in cui l’aveva avvistata, finché gli parve di vederla in lontananza. A quel punto si alzò e cominciò a correrle incontro, spalancò le braccia e un minuto dopo lei era già lì, abbracciata a lui…

Martino pensava che Maria non volesse vederlo né parlare con lui, ma, al contrario, lei stava contraccambiando molto volentieri il suo dolce abbraccio.

Dopo quel giorno Martino e Maria non erano solo più amici, ma una coppia felice.

Al matrimonio Maria era stupenda, indossava un abito ereditato dalla sua mamma, non era  bianco, bensì verde e aveva una piccola coroncina di fiori colorati e profumati sulla sua testa, aveva i capelli raccolti in un muccio di trecce più o meno grandi.

Un piccolo batuffolo di nome Marcello crebbe alla sola presenza del padre. Maria, infatti, era morta di parto.

All’età di dieci anni Marcello perse anche il padre a causa del tifo;  rimase completamente senza forze  e disperato. Si ammalò di peste, pertanto  fu destinato alle cure dell’ospitale di Santa Croce; a curarlo c’erano la vecchia suora Isabella e una giovincella aiutante, suor Anita.

Le due suore aiutarono per molto tempo Marcello, ma una notte anche lui iniziò a sentire una voce sospetta…

Continua…





  • Fonti utilizzate:
  • AA.VV., La Liguria paese per paese, Voll. III e IV, Guido Mondani Editore, Genova, 1984
  • Ferrando Ivana, I giochi a Genova, Sagep Editrice, Genova, 1969
  • -Dolcino Michelangelo, I misteri a Genova, Pirella Editore, Genova, 1976
  • Alcuni numeri della rivista Focus Storia
  • Ricerche di storia prodotte nell’anno scolastico 2012-2013
Sito http://www.storiamedievale.net

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